Una volta intervistai Dino Risi a proposito di Una vita difficile, girato sul Lago di Como. Lo raggiunsi al telefono nel residence dove viveva, a suo dire era più comodo così, meno rotture e tutto più semplice e immediato. Al termine della chiacchierata fece i complimenti per la voce, dovrebbe fare del cinema mi disse. Padronissimi di non crederci, è chiaro. Mi dimenticai però di chiedergli una cosa fondamentale: le tedeschine. D’accordo, hanno una funzione maieutica precisa nel viaggio on the road attraverso l’Italia del boom ne Il sorpasso, uscito l’anno dopo il film con Sordi. Ma perché farle tornare in scena sei anni dopo, con la stessa crudele ironia ma in un cameo più sintetico in Straziami ma di baci saziami? Film meno noto e quotato ma ugualmente decisivo per capire l’Italia del periodo e l’intelligenza del gruppo di artisti e artigiani del cinema che l’aveva pensato e realizzato. Il povero Nino Manfredi batte le strade di Roma sulle tracce della fidanzata. Scacciato dalla pensione, con la valigia sotto sequestro e neanche un soldo, tenta la telefonata salvatrice al parroco del paese su nelle Marche. Ma sbaglia numero. E le due tedeschine, uscite dal cimitero del Sorpasso, ora sono lì nell’Urbe, impazienti di mettere i gettoni nell’apposita fessura e parlare con l’amico Piero, dall’altra parte del filo. Caro Risi, fu voglia di citarsi o un altro genere di ossessione? “Nelle Marche c’erano l’Etruschi”, dice nel film  Manfredi – che  a conti fatti (vedi pure Nell’anno del Signore) a pari merito con Gian Maria Volontè è il massimo attore italiano per quel che mi riguarda. Ecco, faccio cinema a modo mio: nel ricordo di mia nonna  marchigiana, questa è la frase che avrei scelto  per il titolo di un eventuale libro di note e divagazioni sulla settima arte. Che però, direbbe  Borges, non ho intenzione di dare alle stampe.

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